“Il bambino non può pensare senza le mani”. Questo sosteneva Maria Montessori in una conferenza tenutasi in India nel 1943, per descrivere come il bambino apprenda non solo con la mente, ma con tutto il corpo: “[…] lo sviluppo mentale è connesso al movimento, e da esso dipende” (Montessori, 1943). Prima ancora John Dewey, considerato il padre dell’attivismo pedagogico, sottolineava come fosse fondamentale l’esperienza diretta del bambino con l’ambiente circostante, e come l’educazione, partendo dagli interessi naturali del bambino, si possa esplicare attraverso attività pratiche e ricreative.
Si impara facendo: ma anche danzando! Nel secolo attuale, le evidenze scientifiche hanno rinforzato questo concetto ( approfondimenti tutt’altro che inutili in un panorama scolastico basato sempre più sull’omologazione delle metodologie di apprendimento, quando la scuola sta diventando sempre più eterogenea): diversi studi di neuropedagogia concordano sul principio della plasticità neuronale, ovvero come il cervello possa modificare la sua struttura secondo gli stimoli ambientali. Le sinapsi si formano a decine di migliaia dopo una sola esperienza, ma possono anche spegnersi se non più riattivate. Infatti, strano a dirsi, il cervello di un neonato ha molti più neuroni rispetto al cervello di un adulto; la natura ce ne fornisce moltissimi alla nascita, per poi selezionare quelli che avranno un ruolo determinante nella nostra vita.
Ogni esperienza diretta crea quindi una sorta di collegamento tra i neuroni: lo sviluppo mentale, l’apprendimento, la capacità di memorizzare, ma anche lo sviluppo del linguaggio sono strettamente connessi al movimento. Nel corso del suo sviluppo, il cervello ha bisogno di continui stimoli, prima tattili e motori, successivamente elaborati per fornire la base di quello che sarà lo sviluppo del linguaggio e del pensiero complesso. “L’educazione ha dunque il compito di “dare forma” al cervello” scrive Alberto Oliverio nel saggio “Il cervello che impara” (Oliverio, 2018). L’autore sostiene inoltre come sia più facile memorizzare qualcosa che ha comportato un’interazione diretta con il soggetto e un coinvolgimento attivo della sua motricità, piuttosto che qualcosa letto su un libro: i bambini hanno dunque bisogno di sperimentare, muoversi, osservare, toccare, ascoltare, annusare, correre, saltare, etc. non per un bisogno di “sfogo”, ma perché è attraverso l’interazione diretta con il corpo che si apprende. A questa premessa in ambito neuroscientifico, affianchiamo uno dei principi base della psicomotricità: il bambino apprende quando c’è piacere di apprendere. Un bambino ripetutamente ammonito “avanti! Studia! Concentrati! Fai i compiti!” avrà sicuramente un rendimento minore rispetto ad un altro bambino completamente preso dalla sua attività, a cui vi si dedica instancabilmente perché… gli piace!
Qualsiasi genitore si sarà trovato nella mia stessa condizione, quando chiedo invano a mio figlio di prepararsi per uscire, ma lui non mi degna di risposta perché completamente dedito ad un gioco, soprattutto un gioco che richieda una certa dose di creatività, come un gioco simbolico o una storia inventata muovendo i suoi personaggi preferiti. Ecco, questo accade anche nel processo di apprendimento: il bambino non pensa che sta imparando qualcosa se immerso in un’attività piacevole. Tuttavia, se questa attività implica una certa dose di movimento, è finalizzata ad uno scopo, è ripetibile e comporta un cambiamento della situazione iniziale, c’è apprendimento eccome!
Un bambino di un anno che batte un bastone di sua spontanea volontà ( non si è mai visto un bambino che non provi un interesse verso un bastoncino) prima su una superficie metallica e poi su un’altra leggermente più morbida, come legno o stoffa, nota che c’è un cambiamento nel rumore prodotto e riproporrà questo movimento finchè ne avrà voglia: ecco un esempio di apprendimento spontaneo. In che modo quindi la DMT può inserirsi come metodologia per l’apprendimento? La DMT, ovvero danza-movimento-terapia, utilizza la tecnica della danza, del movimento creativo, dell’improvvisazione, attingendo anche ad altre tecniche, come il rilassamento, l’espressività corporea, insomma, tutte le possibili tecniche a valenza corporea con una finalità “creativa” come mezzo per la promozione del processo creativo, del benessere, dell’armonizzazione corpo-mente-psiche. Essa rientra nelle arti-terapie a mediazione corporea, e può essere applicata da professionisti del settore (a seguito di un appropriato percorso di studi) sia in ambito clinico che educativo.
Dal 2013 la danzamovimentoterapia, che d’ora in poi abbrevierò nell’acronimo DMT, viene regolamentata da una normativa specifica, la legge 4/2013. Nell’età evolutiva il corpo è lo strumento principale di conoscenza del mondo, della realtà, ma anche di sé stessi e dei propri confini. Lo sviluppo della motricità e l’evoluzione degli schemi corporei, infatti, scorrono parallelamente all’interazione del bambino con il mondo esterno: basti pensare ad autori quali Piaget, Mahler e, in tempi più attuali, a Rispoli. Così come la conoscenza del mondo, anche la creatività si sviluppa a partire dalla scoperta della potenzialità del proprio corpo e delle proprie energie. La danza costituisce un’esperienza fondamentale, in quanto carica di valenze simboliche ed archetipiche (Saccorotti, 2004): danzando, il bambino impara ad usare il proprio corpo e il movimento come mezzo di comunicazione con gli altri, in una cornice ludica, aggregativa e contenitiva. La DMT facilita questi processi e li adatta a seconda del contesto storico-sociale in cui è inserita. Agevolando i processi di simbolizzazione a livello corporeo, la danzamovimentoterapia diventa una forma di gioco e, come diceva Winnicott il gioco crea uno “spazio transizionale” (Winnicott, 1971), un momento simbolico per esprimere emozioni, conflitti, pensieri ed idee, per affermare la propria identità ed esprimere le istanze più profonde.
La DMT consente quindi la costruzione di uno spazio ludico ma anche contenitivo, che faciliti l’espressività corporea, l’uso delle emozioni in modo adattivo (tra cui la frustrazione e l’aggressività), processi di problem solving, la sperimentazione delle EBS (Esperienze Basilari del Sé, Rispoli 2004). Il movimento e la danza non costituiscono solamente spazi di sfogo, ma contribuiscono alla costruzione di aree transizionali, funzionali ad ulteriori obiettivi e bisogni a seconda del contesto in cui la DMT viene applicata: essa diventa strumento e risorsa per il programma didattico e pedagogico, per sancire l’appartenenza ad un gruppo, per sopperire alle differenze culturali e sociali. Oggigiorno la scuola si trova ad affrontare un evidente gap: da un lato le classi sempre più eterogenee, con bambini provenienti da situazioni famigliari e sociali sempre più differente; dall’altro la tendenza, a livello istituzionale, ad omologare e standardizzare i modelli educativi e di apprendimento.
La scuola accompagna il bambino nella crescita, nello sviluppo delle competenze cognitive, sociali, di cura del sé e dell’altro, del pensiero divergente. Per farlo non può prescindere dallo sviluppo della creatività, che deve essere prioritario in un ambiente educativo (Saccorotti, 2019). Invece si ricorre sempre più a fotocopie, test di ingresso, prove invalsi, lezioni puramente frontali e poco interattive: dalla scuola dell’infanzia alla secondaria, bambini e ragazzi non sono protagonisti attivi del loro apprendimento, non diventano produttori di senso, ma solo fruitori, l’apprendimento è bidimensionale e a senso unico. Nella scuola invece l’alunno avrebbe bisogno anche di sperimentarsi attraverso il corpo, rompendo gli schemi di una cultura basata solo sugli aspetti cognitivi e nozionistici. Numerosi sono inoltre gli interventi della DMT per quanto riguarda i disturbi dell’apprendimento.
Nel 2015, un gruppo di studio interno all’APID® (Associazione Professionale Italiana Danzamovimentoterapia), guidato da Massa e Lagomaggiore, partendo dal presupposto che il bambino impara non solo con la mente, ma con tutto il corpo, ha condotto diversi laboratori sul territorio nazionale, al termine dei quali si è potuto riscontrare un notevole miglioramento della scrittura nel 40% dei partecipanti.
Io stesso ho potuto condurre dei laboratori in una classe seconda di una scuola media inferiore, dove erano stati segnalati due casi di ragazzi con DSA. Questi laboratori hanno confluito nella creazione di una coreografia costituita da due momenti: nel primo i ballerini dovevano camminare su un percorso preciso scandendo il ritmo, con un’adesione allo spazio e al tempo precisi; nel secondo si sarebbero “affrancati” da questa consegna, presentandosi al pubblico con un gesto che più li rappresentava, esempio di movimento creativo. L’aderenza al ritmo e l’orientamento nello spazio costituiscono, per chi presenta disturbi nell’apprendimento e difficoltà di attenzione e concentrazione, un grande ostacolo poiché si presuppone la presenza nel qui ed ora, coordinazione, riconoscimento del proprio spazio e avvertenza dell’altro. Esercizi fondati sull’aderenza al tempo e orientamento nello spazio, che costituiscono due importanti e significative qualità del movimento (Laban, 1948) consentono di sperimentare con il corpo attenzione e cura della motricità, lo stare nel qui ed ora. Durante la performance, tutti hanno mostrato più difficoltà nella seconda parte rispetto alla prima: i ragazzi di oggi faticano a dire chi sono… Una grande lacuna della pedagogia attuale praticata nelle scuole è, e questo laboratorio ha potuto confermarlo, la mancanza di creatività degli alunni. Durante il processo creativo, entrambi gli emisferi vengono chiamati in causa: quello sinistro per quanto riguarda la coordinazione, l’essere presente, l’attenzione verso lo spazio, l’aderenza al ritmo, la considerazione del gruppo; quello destro per quanto riguarda il flusso di sensazioni ed emozioni. L’utilizzo della DMT all’interno dell’istituzione scolastica costituisce pertanto un valido alleato non solo per fornire spazi di gioco e sfogo, ma come metodologia per l’apprendimento, in grado di equilibrare le esigenze del singolo con la richiesta di formare la classe futura.
Fondamentale diventa allora la costruzione del setting, in modo da consentire agli alunni di sperimentare liberamente, ma in un ambiente strutturato, definito, flessibile. Ad esempio, nei laboratori che svolgo negli asili nido non conduco il movimento dei bambini, ma li lascio liberi di esplorare all’interno del setting che ho preparato secondo il tipo di attività che ho in programma per quella giornata. Anche nelle scuole la seduta di DMT dovrebbe strutturarsi in questo modo, perché il bambino possa essere il protagonista dell’azione, creatore di movimento e danza, ma in un ambiente strutturato e codificato secondo gli obiettivi prefissati. Luogo, tempi, tipologia delle musiche e dei materiali eventuali devono essere precedentemente preparati. L’intervento di DMT deve essere collegiale, risultato di una collaborazione con l’equipe docente.
Bibliografia Galimberti, U. Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1983 Garcìa M. E., Plevin M., Macagno P., Movimento creativo e danza, Gremese Editore, Roma, 2006 Laban R., L’arte del movimento, Coop. Ephemeria Editrice, Macerata, 1999 Lagomaggiore A., Massa M. (a cura di) “Verso un protocollo di Intervento DMT per bambini con DSA” in Vent’anni di APID, GEDI, Gruppo Editoriale Sp.A. Montessori M., Educazione per un mondo nuovo, Garzanti, Milano, 2010 Montessori M., La mente del bambino, Garzanti, Milano, 2010 Nicolodi G., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia, Milano, FrancoAngeli, 2008 Oliviero A., Il cervello che impara, Giunti, Firenze, 2018 Rispoli L., Esperienze di base e sviluppo del Sé. Evolutiva nella Psicoterapia Funzionale, FrancoAngeli, Milano, 2004 Saccorotti C., Tracce di percorsi clinici. Corpo e danzamovimentoterapia, FrancoAngeli, Milano, 2019 Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1971
Comments